mercoledì 24 gennaio 2007

MONTROSE - MONTROSE


Ci sono bands che, seppure non abbastanza conosciute ai più, comunque vanno annoverate tra le formazioni cardine di un genere, qualsiasi esso sia.
A tal proposito i Montrose, band che prende il nome dal chitarrista Ronnie Montrose, è stata una delle band più importanti del panorama hard rock americano in grado di segnare un'epoca. Si imposero molto presto all'attenzione del pubblico con i loro omonimo album di debut. Questo disco, qui oggetto di recensione, uscì nel lontano 1973 ma colpisce innanzitutto per una qualità di registrazione molto buona e un lavoro in sede di songwriting maturo e accattivante. La line up presente in questo album è composta da: Sammy Hagar alla voce, Ronnie Montrose alle chitarre, Denny Carmassi alla batteria e Bill Curch al basso.
Apre il disco l'energica e stuzzicante "Rock the nation". Questa track colpisce subito l'ascoltore per il semplice e diretto riff d'apertura che, supportato da un drumming leggermente cadenzato ma potente e preciso, si stampa subito nella mente. La voce di Hagar è già facilmente riconoscibile ed è veramente trascinante. Si prosegue con "Bad Motor Scooter", brano più cadenzato introdotto da una straordinaria chitarra che, con lo slide, imita il tipico rumore di un motore. Questo pezzo è molto particolare in quanto riesce molto bene a stuzzicare la fantasia dell'ascoltatore, con una certa originalità nel calibrare il riffing in modo da far venire in mente un'immaginaria corsa in moto.
Si passa a "Space Nation no.5" e ci troviamo di fronte ad un classico dell'hard rock. La song rapisce subito il cuore dell'ascoltatore che non potrà far altro che innamorarsi del bel refrain principale, cantato ottimamente dal buon Hagar e suonato splendidamente dal resto dei musicisti. Il riffing anche in questo caso è diretto e semplice, ma tre riff sembra che bastino a sufficienza per deliziare le orecchie. "I don't want it" si avvale di un riffing deciso, sul quale ha facile gioco Ronnie Montrose nell'inserirvi solos di pregevole fattura. Il drumming, inoltre, è preciso e dinamico compatta decisamente il sound complessivo della song.
Passando a "Good Rockin' Tonight" possiamo intravvere in questa song tutto l'amore per il rock'n'roll che i Montrose coltivano, sfoggiando un riff molto vivace sostenuto da una base ritmica piena di brio. La successiva "Rock Candy" cambia sostanzialmente atmosfera, posizionando le coordinate melodiche del combo lungo un riffing decisamente cupo. La chitarra di Ronnie Montrose, infatti, sembra trascinare il resto degli strumenti verso sonorità dissonanti e quasi sinistre, soprattutto nel bell'assolo che ammanta di fascino questo cupo "teatro melodico".
Il disco sta per volgere a termine e "One Thing on my mind" si impone all'ascoltatore per il groove pieno di brio e dove la sezione ritmica sostiene un'architettura melodica semplice e diretta. Hagar, come del resto nel resto nelle altre song, dimostra notevoli doti vocali e un'impostazione tecnica già invidiabile. Chiude il disco "Make it Last", brano dove il combo trova una buona sintesi tra l'anima introspettiva e la carica adrenalinica già ampiamente esposta in ognuno dei precedenti brani. Questa traccia, in effetti, si snoda su tempi medi ma non risparmi sia l'approccio potente e diretto proprio della band, sia una certa vena "riflessiva" che sembra già ben collaudata dal gruppo.In conclusione questo "Montrose" è da considerarsi tra i dischi importanti da avere nella propria discografia, uno dei "must" insomma senza il quale la propria cultura musicale in campo hard rock, a modesto parere del sottoscritto, deficiterebbe di un elemento portante.
by Filippo Benedetto

Rock The Nation


Make It Last

martedì 23 gennaio 2007

HYDRA - HYDRA


Qui si entra nel sud del Rock, quello duro, piacevole e robusto, forse il posto in cui il Hatchet Molly ha trovato tutte le sue idee.
Il Hydra di Atlanta era uno di quei gruppi sconosciuti, uno degli attuatori più duri, assieme agli Skynyrd, Ram Jam, Blackfoot, BTO, Bad Company e forse ai pre-metallers Rex.
Questo Album e' un mix tra il Rock e il Blues. Si parte con una canzone tutto ritmo, sul solito giro Rock/blues come Goning down oppure Good Man in slide Guitar o al Rock bello pieno di Let Me Down Easy, con le due chitarre gemelle all'unisono per tutta la canzone, un genere che ritroveremo in voga quasi 10 anni dopo.Passando al lentone Blues di Feel The Pain dove il cantante Wayne Bruce da il meglio di se cercando uno stile vocale che rincorre Jack Bruce, Glenn Hughes, Danny Joe Brown e Paul Rodgers.
La potenza del crescendo glorioso di Warp 16, un misto tra il sothern-rock e il glam più sfrenato, ricorda in alcuni punti gli Skynyrd di Thin Lizzy. E ultima canzone certamente da citare e' la tristissima Miriam, un genere epico per il Soth Rock Americano. Il cantato e' uno strappalacrime su un infinito arpeggio di chitarra interrotto violentemente da piccoli Bridge in chitarra distorta, dove il Rock di questo gruppo esce finalmente allo scoperto.

Warp 16


Miriam

lunedì 22 gennaio 2007

COLOSSEUM - VALENTYNE SUITE


Seconda e più nota opera dei Colosseum, formazione del rock-jazz inglese, dopo l’esordio di "Those who are about to die salute you", nello stesso anno. Nato per iniziativa del batterista Jon Hiseman e del sassofonista Dick Heckstall-Smith, il gruppo comprese, sino alla realizzazione di questo album, Dave Greenslade alle tastiere, James Litherland alla chitarra e Tony Reeves al basso. A questi ultimi due era affidata la sezione vocale. L’abilità tecnica del quintetto è qui ben testimoniata, ma l’importanza del disco consiste soprattutto nel fatto che molti vedono in esso uno dei prodromi del progressive-rock vero e proprio. A questo proposito vorremmo fare alcune considerazioni. Esistono indubbiamente accenti progressivi in "Valentyne Suite", ma questo è vero soprattutto, se non esclusivamente, per quanto riguarda la suite omonima che chiude l’album: uno stupendo brano pressoché interamente strumentale, diviso in tre parti, compositivamente raffinato e che, a nostro avviso, si stacca nettamente da quanto lo precede. Maggiore è la complessità strumentale, in cui lo stile jazzistico tendente all’improvvisazione lascia in buona parte il posto ad una struttura prefissata e bilanciata. Stupendo in particolare il "Theme Two", con un delicato ed epico vocalizzo corale su cui esegue i suoi arabeschi il sax di Heckstall-Smith. Ma efficaci sono anche i passaggi fra le diverse parti: il tema principale del "Theme Three", che lo apre e chiude, con composizione ad anello, sembra anticipare consimili invenzioni dei Van der Graaf Generator, dove non a caso avranno importanza fondamentale i fiati, e specialmente proprio il saxofono, di David Jackson. Impeccabili le tastiere e il pianoforte di Greenslade, così come la virtuosistica batteria di Hiseman (che dalla seconda metà degli anni settanta si dedicherà definitivamente al jazz). Dobbiamo ammettere che la preferenza per la seconda parte del disco deriva anche dalla nostra predilezione per il rock progressivo: ma certo le prime quattro tracce non ci paiono cosa eccelsa, nella sezione vocale come in quella strumentale; la sezione ritmica però è indubbiamente di valore. Brani gradevoli ma che rischiano di rientrare nella inflazionata categoria del "carino".Un buon album, quindi, che testimonia la vitalità del rock inglese alla fine degli anni sessanta: nel medesimo ’69 i King Crimson incidono "In the Court of the Crimson King", una delle prime icone del prog-rock.
di Valentino Olmi

February's Valentyne


The Grass Is Always Greener

CACTUS - CACTUS

Tutto cominciò nel 1967 con Vanilla Fudge che formò la banda con Tim Bogart( basso e voce), Carmine Appice (battria), Mark Stein ( tastiere e voce ) e Vince Martell (chitarra e voce). E' un suono abbastanza indefinito, e' influenzato dalla musica sinfonica e da un hard rock anni 70 nello stesso tempo ( come nella versione di Eleanor Rigby dei Beatles).
Dopo 2 anni di relativi successi negli Stati Uniti, lotte interne hanno portato allo scioglimento della band.Il loro primo album fu intitolato semplicemente Cactus. Un ottimo Rock and Roll in Let me Swim e Feel so good e alcune ballate come My lady from south of Detroit e cover ispiratissime come Parchman Farm di Mose Allison e You Can't Judge the Book by the Cover di Willie Dixon.
Sull'onda del primo album e del suo successo pubblicarono l'anno seguente ben due album, forse un troppi visti i risultati: One Way... Or Another e Restrictions. Questi seguirono lo stesso schema del primo, Rock mischiato a ballate e a cover. L'insuccesso di questi due album potarono rapidamente allo scioglimento della band.
Bogart e Appice proseguirono la loro carriera suonando con Jeff Back in una specie di super band dell'epoca come band di supporto di Rod Sewart, fino all'incidente di Beck che fece finire il progetto. Bograt e Appice invece non fecero nulla per molto tempo per poi essere invitati dal cantante Rusty Day.

Let me Swim

Feel so Good

venerdì 19 gennaio 2007

ALKANA - WELCOME TO MY PARADISE



Questo album e' veramente una rarità, se cercherete in rete lo troverete veramente a prezzi folli, intorno ai 750$ . Un album del 1978 ma stranamente ha sonorità e riff della decade successiva. Al primo ascolto si direbbe: chitarra alla Van Halen, voce alla Judas Priest. Niente di speciale ne di innovativo per i non amanti del genere. Quello che rende 'speciale' questo album sono gli 11 minuti di 'The Tower', un vero e proprio Frankestain musicale, al suo interno si mescolano una chitarre melodice, cori quasi lirici e un continuo spostamento tra un genere molliccio e uno molto ritmato tutto nell'inizio della canzone. Nel proseguio la chitarra trova altri generi tra cui un decente prog in stile americano. Un menzione particolare per Paradise, la canzone che preferisco. Un continuo ritmo senza tregua, il basso e' frenetico per tutta la canzone muovendosi su i due unici accordi durante le strofe, regge da solo la base per la voce che ne segue i tempi, la chitarra e' solo un riempitivo uscendo alla distanza nei bridge e nel ritornello con riff in totale saturazione del suono.
Danny Alkana e' il chitarrista, cantante, produttore, precipitato in cattive acque sembra abbia deciso di ripubblicarlo nel 2007 solo nella versione vinile.

The Tower

Paradise